martedì 9 settembre 2014

Ti guardo. E ci siete

Ti guardo e non ci credo. Ti osservo, ci sei, e mi meraviglio. Ogni giorno, ogni istante non è mai scontato.

Ti guardo e mi stupisco. Di quanto amore si possa provare. Di quanto bene si possa volere. Di quanta protezione ho bisogno di dare.

Ti guardo e mi cerchi. Mi sorridi. Mi vuoi. Ti guardo e rido. Alle volte piango. Per la gioia, la commozione, la gratitudine. Ti guardo e guardo in alto. E ringrazio. Lo ringrazio. Perché ti ha mandato. Perché ha scelto noi. Perché ha sgomberato il mio cuore. Perché ha lasciato che ci entrassi anche tu. Perché ti ha fatto posto.

Ti guardo e ti amo. Immensamente. Profondamente. Istintivamente. In maniera pulita, spontanea. Come non pensavo. Come non immaginavo.

Ti guardo e cerco tuo fratello. Ogni volta. Ma è un pensiero dolce. Tenero. Ti guardo e amo per due. Ti guardo di notte mentre dormi. Ti guardo mentre giochi. Ti guardo cambiare. Ti guardo crescere. Ti guardo e il cuore mi batte forte.

Ti guardo. Ti cerco. Sei mia. Mia. Ci sei. Ci siete.

venerdì 30 maggio 2014

Ho partorito con gioia


Un posto per noi. Noi che stiamo imparando a conoscerci. Noi che ci amiamo e ci cerchiamo. Noi. Quel noi di cui avevo paura. Ma ora no. Esisti e io con te. Ho un ruolo. Sono io, mamma nuovamente. Mamma per intero. Mamma per te. Mamma per me. Mamma.
E quello spazio che temevo non si sarebbe creato, è venuto alla luce con te. Nel momento esatto in cui ti ho presa in braccio il mio cuore è stato riempito. Avevo paura che il dolore avrebbe preso il sopravvento. Che quel piccolino che non ho mai potuto abbracciare avrebbe occupato tutto lo spazio. E invece no. C'è posto per tutti e due. Come se lui si fosse messo da parte per dare più spazio alla sorellina. Come se il mio cuore fosse stato sgomberato dalla sofferenza. Ho capito che sono capace di amare tutti e due. Te che sei in cielo. E te che sei tra le mie braccia. Ho tanto amore da dare che mi sembra di scoppiare.
Quando guardo lei vedo lui. E quando penso a lui abbraccio lei. Così da poterli stringere tutti e due. Mi sento mamma. Una mamma doppia. Capace di due amori diversi. Capace di piangere di gioia quando lei mi sorride. E capace finalmente di concedersi senza paure di piangere per lui che non c'è. Di piangere senza vergogna. Di soffrire senza sentirsi in colpa. Ora che so realmente che cosa ho perso, perdendo lui, posso piangere. E non ho più paura. Di venire fuori. Di non essere capita. Non mi importa. Posso piangere di gioia e un attimo dopo di dolore. Posso vivere il mio amore doppio come voglio. E oggi posso tornare a dire di essere felice. E oggi posso essere io. E oggi posso ringraziare chi mi ha aiutato. Chi ha creduto nelle mie paure. E non ne ha riso. Le ha soppesate, mai giudicate. E mi ha dato una mano. A lasciare che un nuovo spazio si creasse. Da solo. Che le mie lacrime colassero, mettendo le mani sotto a raccoglierle. E ad aiutarmi a ridimensionarle. E così è stato. Ho partorito con gioia. Credevo non sarebbe stato possibile. Ma è successo. È successo che ho pianto di felicita. È successo che ho pensato di avere due bambini. Senza piangere. Senza quel pugno che spesso mi ha buttato a terra.
Ora siamo NOI. E finalmente è un noi per intero.

lunedì 3 marzo 2014

Mi hanno detto prova a fantasticare


Mi hanno detto prova a fantasticare. Prova a volare con il pensiero al di là della tua pancia. Cerca di immaginare quando la avrai tra le braccia. Quando la stringerai al tuo petto. Quando sarete voi due sole, occhi negli occhi. Perché sarà molto diverso da adesso: ora che vive dentro di me e vive del mio respiro.

Non saremo più un respiro solo. Non sarò più io con te dentro. Saremo noi. E dovremo conoscerci. Dovremo annusarci e tu dovrai imparare ad amarmi. A cercarmi. A vivermi anche da fuori. Ad ascoltare la mia voce. Ad aggrapparti a me.

E io dovrò fare lo stesso.

Fantasticare. Disegnare. Correre in là con il pensiero. Immaginare. Progettare. Guardare oltre. Non è facile. Sembra strano ma non è facile. Perché l'ho già fatto una volta  e sono caduta, frantumandomi in mille pezzi. Non è semplice rimettere insieme i pezzi di un sogno cambiandone il protagonista.

Chiudo gli occhi e ci provo. Mi immagino con la mia bimba tra le braccia. La vedo piccola. Indifesa. Fragile. Dipendente da me. E poi la immagino appoggiata al petto di mio marito. Questo è il pensiero più bello. Profondo. Lì  la vedo al sicuro.  

E poi riesco a vedere noi due a casa che ci sorridiamo a vicenda. Che ci scambiamo amore. E poi all'aria aperta, tra la gente. Immerse nel verde. Tu nel passeggino, io a spingerti, tra i profumi e i rumori della vita.

Mi immagino presente. Sempre.

E immagino quando ti guarderò e cercherò tuo fratello. Fantasticherò sulle vostre probabili somiglianze e chissà magari mi scenderà una lacrima.

Forse un po' ci sono riuscita a liberare la fantasia. Il freno è ancora tirato, ma alle volte riesco ad allentarlo un pochino.

Quanto amore può donare una madre? Quanto amore può contenere un cuore?

Credo che ci sia spazio per tutti e due. Per te piccolo mio. E per te piccola mia.

giovedì 6 febbraio 2014

Quanto amore e quanta paura in questa nuova curva che mi percorre


Quanto tempo è passato da quel 14 novembre. E' tanto, ma sembra un briciolo. Quante parole sono state dette. Quanti passi sono stati compiuti. Quanti silenzi sono stati vissuti. Quante lacrime sono state ingoiate. Quanti pensieri sono stati fatti. Creati e poi distrutti. Oppure creati e rielaborati. Quanti sorrisi ho smorzato. Quanti abbracci ho ricevuto. E quanti altri avrei voluto. Quante porte sono state aperte. E quante altre sono state chiuse. Quante chiavi sono state gettate. Quante altre sono ancora lì, ferme. Quante emozioni sono state vissute. Quante volte ho detto non ce la farò mai. Quanti baci mancati ho lanciato nel vuoto. Quante volte sono stata sveglia a pensarti. Quante volte il fondo è stato toccato. Quanto su e giù si è fatto. Quante volte il viso si è girato indietro. Quante tentazioni ho avuto di gettarmi a terra. Quante volte ho chiesto silenziosamente aiuto. Quanta rabbia ho sputato fuori. Quante me allo specchio ho conosciuto. Quanto ho amato. Quanto ho odiato. Quante maschere ho gettato. Quanta fatica ho fatto per stare in piedi. Quante domande sono state poste. E quante risposte ho avuto il coraggio di cercare. Di quanto amore ho scoperto di aver bisogno. Quanta paura ho del nuovo inizio. Quanto timore c'è in ogni mio passo. Quanta accettazione. Quanta rassegnazione. Quanta forza. Quante mani ho stretto senza sentire nulla. E quante altre ne ho toccate provando mille emozioni. Quanto dura è stato lasciarsi andare. Quanta sofferenza si prova a ridere. Quanta gioia nel ripercorrere una nuova via. Quanta dolcezza in due mani che si cercano e si intrecciano in quel luogo dove è mio figlio. Quanto amore. Quanto amore e quanta paura in questa nuova curva che mi percorre. Quanto amore in questa nuova vita. Quanti progetti. Quanto so che dietro c'è sempre lui. Quanto lo amo ancora di più per questo. Quanti vorrei. Avrei. Sarei. Dovrei.

lunedì 13 gennaio 2014

Dove ora vivi

C'è un luogo che non dovrebbe esistere. È fatto di silenzio. Di ombre. Di freddo. Di voci inesplose. Di pianti di chi ci mette piede. Ed è fatto di tante piccole, piccolissime casette. Con sopra peluche, macchinine. Fiori. Sembra di essere fuori dal mondo. Perché non appena ci entri ti sembra che una porta sbatta dietro di te spingendoti in un posto che mai avresti pensato. Che non dovrebbe essere calpestato da nessuno. Eppure c'è. E ora che so (o meglio che ho trovato il coraggio, la forza di sapere) che il mio Edo è lì, mi sento sollevata.

Il mio cuore si è sempre chiesto dove fosse il mio bimbo. Ma la domanda sfioriva sulle mie labbra. Moriva dove era stata concepita. Perché avevo timore della risposta. Ma poco tempo fa l'ho vomitata fuori. E ho trovato la risposta che cercavo.  Dove sarà il mio bimbo? Dove lo avranno messo a riposare dopo la sua nascita?  Ora finalmente so dove è. So dove piangere. Perché può sembrare banale ma avere un luogo dove poter sputare le proprie lacrime e dove poterlo andare ad abbracciare mi fa stare un pò meglio. E così quel luogo che non dovrebbe esistere mi è di conforto.  Oltrepasso la linea e lo trovo. Fisicamente. Perché anche quello è importante. Cercarlo ovunque non fa stare bene. E così non posso che ringraziare di averlo ri-trovato. Con il corpo. E non solo con il cuore. 

lunedì 16 dicembre 2013

Ti regalerei tutti quei momenti in cui cervello e cuore si sono disconnessi...


Se potessi regalarti un po' della mia vita andrei indietro nel tempo. E andrei a pescare qua e là, quei momenti che hanno reso bella la mia esistenza. Bella e leggera. Spensierata.

Ti donerei l'attimo in cui mio papà prima di lasciarmi all'asilo mi faceva volare in aria, per poi riprendermi tra le sue braccia. Ti regalerei le carezze di mia mamma prima di mettermi a letto, con il mio peluche preferito.

Ti donerei i giochi in giardino con mia sorella. Le corse, i tuffi nella piscina/tinozza, con lei sempre al mio fianco. Ti regalerei il patto di sangue con la mia amica di allora. Ti regalerei il mio primo giorno di scuola, così felice di essere indipendente. Ti donerei il saluto commosso di mia mamma, pronta a scattare una foto. Ti regalerei il mio primo viaggio da sola. E ti farei vedere quei paesaggi che mi sono rimasti dentro il cuore.

Ti regalerei le notti passate a casa dei nonni. E le passeggiate con l'anziana zia.

Ti regalerei i pomeriggi dalle mie amiche. I balli, i primi trucchi, le merende, le feste. Le prime "vanitoserie". E ti donerei la mia forza di allora. La mia simpatia. Il mio sorriso.

Ti donerei il mio primo batticuore e il mio primo bacio, con il rumore del mare in sottofondo.

Ti regalerei le mie vacanze. Tutte. Perché sono state il periodo più bello. Sole, caldo, le prime uscite la sera. Le risate su una macchina "intoccabile" o su un motorino in tre.

Ti regalerei le mie gite scolastiche. Le mie fughe. E anche qualche mia bugia. Da adolescente. Ti regalerei quella notte passata a scrivere. A piangere con il cuore in frantumi. Ti donerei l'attimo in cui ho preso il mio primo libro in mano.

Ti donerei l'incontro con mio marito. Ti vorrei far vedere come ho capito che era lui  l'uomo per me. Ti regalerei il tocco della sua mano nella mia. Ti donerei le nostre chiacchierate. Le nostre vacanze. Le nostre passeggiate. I nostri baci.

Ti regalerei la gioia del mio matrimonio. E ti regalerei la forza che abbiamo insieme. E che abbiamo dovuto tirare fuori in molti momenti. Ti regalerei la sua mano sulla mia pancia. Ad aspettare un tuo calcio.

Ti regalerei tutto questo. Se potessi. E ti donerei tutti quegli istanti in cui ho riso con il cuore sgombro. Con la bocca spalancata e colma di gioia. Ti regalerei tutti quegli attimi in cui ho fatto un passo senza voltarmi indietro. Senza sentirne il peso. Ti regalerei tutti quei momenti in cui cervello e cuore si sono disconnessi. E si sono lasciati in pace.

lunedì 9 dicembre 2013

Quando prendi il volo con il freno tirato


Quando sei in un posto e vorresti essere altrove. Quando sei qui e vorresti essere là. Quando stringi una mano e poi vuoi subito pulirti. Quando stai seduta e vorresti correre. Quando ascolti ma cerchi il silenzio. Quando cerchi di essere paziente ma vorresti urlare. Quando sorridi ma dentro piangi. Quando lacrimi e vorresti nasconderti. Quando vorresti andare in un posto ma hai paura. Quando vorresti sputare tutta la sofferenza ma è troppa e non sgorga tutta in una volta sola. Quando accogli una risata ma è ancora troppo pesante. Quando sei felice ma tiri il freno. Quando ti butti e non c'è materasso. Quando hai un pensiero e non vuoi che nessuno te lo porti via. Quando ti fai una domanda dopo tanto tempo. Quando trovi una risposta e ti fa ancora un po' tremare. Quando rispondi che stai bene, ma in realtà vorresti dire "meglio". Quando vorresti ricordare che hai un bimbo nel cuore. Quando vorresti che tutti lo vedessero. E non sai perché. Quando hai paura che gli altri giudichino i tuoi sorrisi. Quando ti accorgi di essere ancora così confusa. Quando ti accarezzi la pancia e i tuoi tocchi sono per due. Per lei e per lui. Quando vuoi che nessuno dimentichi. Quando qualcuno ti dice che non importa se gli altri non si ricordano. Quando rispondi che è come spezzarmi l'anima. Perché lui è me. E' parte di me. E' la parte più forte di me. Quella che mi guida. Che mi consiglia. Che mi sussurra.

venerdì 15 novembre 2013

Una mano sulla pancia. E una preghiera a fior di labbra


Aspettare di nuovo è strano. Aspettare di nuovo non è facile. E' sentire tante cose e non riuscire a decifrarle. Aspettare di nuovo è un nuovo inizio, arrivato dopo un cammino lunghissimo. Non è stato un salto. Ma un costruire la strada sotto i piedi giorno dopo giorno. Aspettare di nuovo ti rende felice. Ma è ancora dura ammetterlo. Non c'è nulla della spensieratezza della prima volta. C'è di nuovo un amore immenso. Ma con il freno tirato. Aspettare di nuovo è un regalo che immagini ti sia stato fatto dal tuo angioletto. Aspettare di nuovo è un miscuglio di gioia e colpa. Dolore e gioia. Perché nonostante i nuovi battiti il vuoto è ancora li. E capisci che questa nuova attesa non può colmarlo. Aspettare di nuovo è una mano sulla pancia e una preghiera continua a fior di labbra. E' un gocciolare di lacrime alternate. Felicità e dolore. Dolore e felicità. Aspettare di nuovo non ti fa dimenticare. Aspettare di nuovo non ti fa assaporare l'attimo. Ti fa guardare avanti. Di continuo. Aspettare di nuovo vuol dire dover rifare la morfologica e rivedere quei volti. Rivivere quei posti. Riandare in quei luoghi dove un anno esatto prima hai lasciato il tuo cuore. Aspettare di nuovo è dover ricacciare indietro le paure. Le ansie. Le lacrime.
Aspettare di nuovo è un dono che non ti aspetti. Che ti lascia senza parole. Che ti spiazza.
Che ti costringe ad alzarti e rimanere eretta. In piedi. Aspettare di nuovo non significa non poter piangere più. E questo l'ho capito dopo tanto. Aspettare di nuovo è meraviglioso. E' un fiume che ti travolge. E' un soffio che ti scompiglia. E' un vento che ti alza, ma che poi ti riporta subito a terra. E' uno stare un piede su e un altro giù.

martedì 29 ottobre 2013

Oggi un anno fa. Quell'attimo che mi ha spazzato via


Oggi un anno fa. Tre parole che hanno cambiato la mia vita. Il tempo di un soffio che mi ha scaraventato a terra. Senza appigli. Senza scale. Senza gradini. Ricordo tutto. Odori, abiti, quadri, volti, frasi. Ricordo lo smarrimento. E la paura. Le preghiere. Le lacrime. E ricordo il dolore. Così intenso da scavare un vuoto profondissimo. Ricordo la mia mano sulla pancia. Per proteggerti dal primo schiaffo che ti stava dando la vita. Le mie dita ancora oggi sono li.
Un anno. In cui tutto è trascorso consapevolmente. So chi sono. Non lo sono diventata per caso. Senza accorgermene. So perfettamente che donna sono. Perché sono passata attraverso mille sensazioni. Perché ho trascorso ogni singola giornata a lottare. A parlare con me stessa. A parlare con te. Di te. A chiederti perdono. A spiegarti. A raccontarti. A cullarti. Non smetterò mai di farlo. Non finirò mai di cercarti. E di trovarti. Ovunque.
Ogni giorno è un nuovo giorno senza di te. E questa cosa, nonostante tutto, nonostante i nuovi inizi, i nuovi sorrisi, le nuove gioie, una nuova vita, un nuovo amore, non potrà mai cambiare.

lunedì 14 ottobre 2013

Felicità e vuoto. Facce di una stessa medaglia


Scrivere di notte. Quando è silenzio. Quando siamo noi. Quando i pensieri sfuggono alle briglie della razionalità e corrono. Corrono e calpestano. E vanno. Siamo meravigliosamente in contatto. Tutto è più intenso. Le parole turbinano. Scrivono ma non lasciano segni. La mattina ne hai solo un ricordo sbiadito.
 
Vorrei scrivere di cosa significa aspettare di nuovo. Di come ci si sente. Ma ora non riesco. Ora ho bisogno di mettere a posto le cose dentro. Per poi sputarle fuori. Ma una cosa voglio dirla. Una felicità altra esiste. E’ possibile. Certo è diversa. Certo non è facile da raggiungere. Certo non la si tocca con un solo balzo. Certo non sempre è facile da gestire. Da accettare. Da vivere in pieno. Certo non è un porto sicuro. Perché si continua a cadere. A piangere. Ma c’è. E fa stare bene. E’ una felicità che deve convivere con un vuoto che non andrà mai via. Non deve cancellarlo. O riempirlo. Deve esistere al suo fianco. Esistere. Stare. Senza pretendere niente. Senza chiedersi perché. Come facce di una stessa medaglia.
 

giovedì 19 settembre 2013

Il piacere della gratuità


Sono una donna che non ama chiedere. E che per questo non chiede.

Sono una donna che ha bisogno. E che vuole che gli altri se ne accorgano da soli.

Sono una donna che apprezza i più piccoli gesti. Le più piccole cose. Quelle fatte inaspettatamente. Una mano aperta. Un sorriso improvviso. Una parola sussurrata. Uno sguardo profondo. Una carezza poggiata. La gratuità. Il senso unico.

Sono una donna che ha paura. Ma che combatte. Lotta. Piange e si rialza. Dice le parolacce e poi chiede scusa. Si piega e rimane chinata per un po’. Il tempo necessario per pulire e tornare dritta. Con lo sguardo avanti.

Sono una donna che non vuole sentirsi dire che è forte. Perché è inutile. Perché non mi aiuta. Perché non serve. Perché ad oggi penso che sia vero. Ma non voglio che gli altri si appoggino su questa convinzione. Sono forte per me. Per noi. Per le cose che ora contano per me. Tutta la forza la impiego su di me.

Sono una donna che vacilla. Che alle volte indossa tacchi troppo alti per lei. E così li toglie. E torna a camminare scalza. A contatto con la terra. I voli pindarici non fanno per me. Non più.

Sono una donna che ha dei punti fermi. Ma anche tanti che si muovono. Sono una donna che non vuole più fare tanti programmi. Che ha capito che pianificare tutto toglie sapore alle cose.

Sono una donna che si ascolta. Alle volte non capisce che cosa vuole. Altre invece basta un attimo per comprendere il passo successivo.

Sono una donna che ama conoscersi. Stupirsi delle proprie reazioni. Sorridere delle proprie azioni.

Sono una donna che si sgrida. Di continuo. Sono una donna che ama. Senza freni. Ma non tutti. Persone selezionate. Perché sono stanca di regalare amicizia. E affetto. Preferisco amare chi, in silenzio, mi fa stare bene. Senza chiedere nulla indietro.

Sono una donna. Così confusamente io.

giovedì 12 settembre 2013

Quando il dolore indossa nuovi volti


Io credo che il dolore non passi. Credo che si trasformi, che cambi pelle, che indossi nuovi volti. Credo che non si affievolisca, che non si svuoti. Credo che a cambiare siamo noi. Le nostre spalle. La corazza del nostro cuore. Tutto si fa più duro. Più forte. Più stratificato. Credo che si impari a portarselo addosso, con più disinvoltura, con occhi più abituati a trattenere le lacrime, con gambe più audaci e capaci di compiere passi più lunghi. Con braccia più solidamente morbide. Con sorrisi più difficili da far sbocciare, ma allo stesso tempo più sinceri. Più veri. Più pieni. Credo che il pugno non si sciolga. Credo che si continuerà a prendere a cazzotti la vita per sempre. Perché il dolore va combattuto giorno dopo giorno. Anche a distanza di anni. Anche se nel frattempo sono nate e cresciute situazioni meravigliose. Anche se nel mentre ti sei concessa di ridere, stare bene, essere felice. Credo che sia importante farlo uscire quando preme. Non averne paura. Non vergognarsene. Non impedirsi di piangere, anche quando tutto sembra andare per il verso giusto. Credo che sia importante non doversi sempre giustificare. Con gli altri. E con se stessi. Credo che il tempo aiuti. Ma non a sgonfiare. Aiuta a trovare strade che prima sembravano impercorribili. A trovare il coraggio per calpestarle. Credo che aiuti a trasportare un bagaglio pesante. Credo che non voglia far dimenticare. Credo che aiuti ad abituarsi ad una nuova luce. Ad una nuova realtà. Ai nuovi noi stessi.

venerdì 30 agosto 2013

Eccola. La nuova strada


Eccola. La nuova strada. L’ho cercata. L’ho immaginata. L’ho desiderata. E ora eccola. Una nuova strada da percorrere. Ma non ci sono cartelli. Non c’è la linea bianca che separa le corsie. Non ci sono indicazioni. Nessuna segnaletica. C’è una strada vergine. Inesplorata. Intonsa. Ci siamo solo noi a calpestarla. Non si vede oltre un metro. Ma forse è meglio così perché non sono costretta a pensare alla meta. Non sono obbligata a costruire il mio futuro. Perché è meglio fare un passo dopo l’altro. Non voltarsi. E non volere guardare troppo oltre. Perché quell’oltre fa paura. Perché ho già provato e cadendo mi sono fatta molto male. Mi sono sbucciata il cuore. E non ci sono cure. Ma un’altra strada ora c'è. Porta un nome. Ma sapere dove sbocca questo non lo voglio sapere. Non me lo chiedo. Aspetto di viverlo.

martedì 6 agosto 2013

Piccoli gesti. Quello di cui hai bisogno.


Piccoli gesti. Che ti fanno bene. Che non ti aspetti. Che ti sorprendono. Quei piccoli gesti che scompigliano una giornata. Perché sono leggeri. Perché sono spontanei. Perché sono un appiglio. Un ago capace di cucire. Un nastro in grado di unire.

Piccoli gesti. Parole. Sorrisi. Sguardi. Movimenti. Quegli impercettibili sospiri che solo tu cogli. Che solo tu vivi così intensamente. Perché hai bisogno di buoni sentimenti. Perché hai bisogno di tornare a credere che non tutto è sporco. Che le piccole cose sono quelle che contano. Che ci sono persone capaci di tanto amore. Che ci sono luoghi pieni di sole. Che esistono reti di protezione.

Piccoli gesti. Che raccogli tra gli estranei. Che rappresentano tanto. Una meta. Un desiderio. Un sogno. Un traguardo. La fine di una corsa a perdifiato. Il culmine di una salita. Una sedia su cui sedersi e riposare.

Piccoli gesti. Un’auto che sfreccia. Una voce da dentro. Una musica dimenticata. Una melodia tanto potente da mozzare il fiato. Una mano intrecciata. Che è tutto. Che è forza. Un abbraccio mentre piangi. Che asciuga le lacrime.

Piccoli gesti. Una moneta. Una preghiera. Scalini da salire. E scalini da scendere. Un panorama che lascia senza parole. Tanta imponenza che ti schiaccia. E ti fa sentire piccolo. Nuvole che oscurano il cielo. E vento che le porta via. E sole che torna a scaldare.

Piccoli gesti. Quello di cui hai bisogno. Una strada che si consuma sotto le scarpe. Una via lunga dove puoi guardare solo avanti. Piccoli gesti. Che ti fanno ballare il cuore. Che ti fanno credere che del buono c’è. Che ti fanno muovere le dita sulla tastiera. E piegare la testa di lato. Innamorata.

Piccoli gesti. Un punto luce. Là in fondo. Un dito a dischiudere le tue labbra. Un altro cuore che accoglie i tuoi sfoghi. Le tue paure. Le tue ansie. La tua stanchezza. Perché da sola non ce la fai. Perché ci hai provato ma il cammino è indomabile.

Piccoli gesti. Quelli per cui vale la pena vivere. E così ti ritrovi a dare importanza alle piccole cose. E vorresti dire grazie. Grazie a chi te li regala. A chi, senza saperlo, toglie un sasso dal tuo sentiero.

giovedì 1 agosto 2013

Oltre


Oltre è una parola difficile per me. E’ una parola pregna di significato. E’ una svolta, un altro passo. E’ un prendere consapevolezza. E’ un balzo in avanti.

 
E’ difficile perche ho paura. Ma è comunque la parola di oggi. E di domani. Andare oltre le paure, buttare giù gli ostacoli e guardare un pò più in là. Andare oltre la sofferenza, accettare il dolore e il fatto che farà sempre parte di me, e trovargli un angolo, uno spazio mobile dove esistere. E dargli la possibilità di venire a galla quando preme.

 
Guardare oltre le mancanze. E pensare di perdonare. Di guardare con altri occhi. Andare oltre la felicità passata. Ricordarsene e farne tesoro perché è la parte più pura di me. Più dolce. Quella che mi fa piegare le labbra in un sorriso.

 
Andare oltre e lasciare vagare il ricordo. Guardarsi intorno e costruirsi un oltre su misura. Adatto a me. Alle mie esigenze. Ai miei sogni. Andare oltre e sperare. Buttare un amo oltre e vedere che cosa tira su. Magari sono cose belle. Magari. E come ogni volta devo lavorarci su. Il primo passo lo devo fare io. Andare oltre e buttare giù tutte le porte. Non aprirle ma demolirle.

 
Andare oltre significa un po' lanciarsi nel vuoto. E sperare di trovare una felicità altra. Oltre il controllo. Le misure. Le pieghe. Le ferite. I sorrisi spezzati. Le ossa rotte. Oltre ci siamo noi tre. So che troverò mio marito. E troverò anche Edoardo. E troverò un nuovo inizio.

 

lunedì 22 luglio 2013

Cominciamo dalla fine


Per una volta vorrei cominciare dalla fine. Vorrei giocare a carte scoperte. In fondo io lo sto facendo. Buttare le maschere e guardarsi negli occhi. E raccontarsi. Tutto da subito. Essere amici immediatamente, senza doverlo diventare. Io mi racconto. Tu ti racconti. E se ci piacciamo allora siamo amici. Ma di quelli veri. Quelli che ridono quando ti vedono felice. Quelli che non mollano la presa quando stai per cadere. Quelli che ci sono sempre. Tra i silenzi. Tra le tante parole. Quelli che basta uno sguardo.

Io partirei da quella forbice. Perché da quel momento sono un’altra. Da quell’attimo vivo tutto più intensamente. E i sentimenti a metà non mi servono. Non mi bastano. Anzi mi fanno solo arrabbiare. O tutto o niente. Il pacchetto Elena è questo. Se ti piace lo puoi scartare. Altrimenti me ne rimango con me stessa. Altrimenti preferisco cercare altrove.

Mi piacerebbe sedermi. E parlare. E ascoltare, ovviamente. Io ti descriverei la mia vita. Ti renderei partecipe dei miei dolori, delle mie gioie. Delle mie speranze. Potresti farne parte. Ma intensamente. Completamente. E io farei lo stesso. Amici, come se fossimo cresciuti insieme.

Le sfumature non le sopporto.

Ti direi quali sono i miei difetti. E quali i miei pregi. Ti direi quali canzoni mi piace ascoltare a pieno volume. Ti direi quale film mi ha fatto piangere con i singhiozzi. Ti direi quali libri mi hanno lasciato un segno. E ti direi che mi piace camminare scalza. Mi piace ridere di gusto. Mi piace camminare con la mano intrecciata a quella di mio marito. Mi piace una carezza inaspettata. Mi piace scrivere. E ti racconterei di come mi sono innamorata. E di come siamo cresciuti insieme. Di quelle volte che abbiamo litigato. E di come abbiamo fatto pace con un sorriso. Di quella volta che abbiamo dormito abbracciati, stretti, quasi avessimo paura che qualcuno ci separasse. Di come proteggiamo il nostro amore. Di come amiamo il nostro bambino. Ti parlerei di Edoardo. E di come mi ha trasformato l’esistenza. Ti racconterei di quanto potente può essere l’amore. E tenero. Dolce. Immenso. Protettivo. Ti direi che mi piace il mare. In inverno. Ti direi che sento profumi lontani. Ti direi queste cose e tante altre. Ti direi di ME. Di come sono. Di come vorrei essere. Di come vorrei che la gente mi vedesse.

E ti direi che per me le parole vanno dosate. Perché possono fare male. Molto male.

E poi ti direi che è il tuo turno. E io starei ad ascoltare. Fondendomi con le tue parole.

lunedì 1 luglio 2013

In coda

Mi metto in coda e attendo. Aspetto il mio turno. Resto ferma tra le persone che non mi vedono. E non si accorgono di quanto siano fragili le mie gambe. Rimango. E aspetto che venga chiamato il mio numero. Poi valuterò. Guarderò e sceglierò. Il mio biglietto tra i tanti biglietti già passati. Non c’è modo di saltare la fila. Che cosa credo di fare? Che cosa penso di ottenere a non rispettare la logica sequenza delle cose?  I numeri davanti  a me scorrono lenti. E passo dopo passo formulo le mie domande. Penso a quello che voglio. Costruisco i miei pensieri.  E il tempo in sottofondo suona la sua nenia.  Che nessuno mi suggerisca che cosa chiedere per favore. Ci sto ragionando. Ci sto lavorando

mercoledì 19 giugno 2013

La misura giusta per me


Un nuovo taglio di capelli. E un nuovo paio di occhiali. Un ciuffo da domare. Così come sto domando la mia vita. Le mie emozioni. Le mie sensazioni. E soprattutto le mie paure. Una ciocca da sistemare tutte le mattine. Così come tutte le mattine poggio i piedi per terra e cerco di mettere ordine nelle mie giornate. Tra le mie parole. Tra le mie pagine. Tra le mie pause. Tra miei silenzi. La spazzola in mano che stira i capelli. E io che cerco di lisciare ciò che vedo. Per renderlo della mia misura. Per far sì che mi calzi bene. Un ciuffo ribelle. Che volevo più lungo. Che immaginavo diverso. Ma si sa che i parrucchieri hanno una concezione dei centimetri molto diversa dalla nostra. Che poi forse hanno ragione loro. Le misure sono relative. I passi che compio sono relativi. Solo quando inciampo mi rendo conto di aver fatto troppo. Di aver voluto superarmi. Di aver alzato troppo la posta. Non esiste un passo troppo lungo o troppo corto in assoluto. Ognuno cammina come vuole. Verso la direzione che preferisce. E non c’è da stupirsi se ogni tanto volta la testa e torna indietro. Io lo faccio. Di continuo. Avanti e indietro. E poi di nuovo avanti. Anche se il resto del mondo non capisce. Perché ti vede sempre andare in un’unica direzione. Senza sapere le immense vie che dentro si percorrono. Dicevo. Un taglio nuovo. Che piano piano ricrescerà. E tornerò a tagliarlo. E tornerò sui miei passi. E poi con un salto li supererò.

E una montatura nuova. Per cambiare. Anche se il vero cambiamento non si vede. Per guardare il mondo dietro altre lenti. Illudendosi che serva. Sperando che un paio di occhiali possa fare la magia. Due lenti filtro. Due lenti dietro cui nascondersi. Due lenti che diventano te. Che fanno parte di te. Da indossare appena alzati. E dopo aver fatto sogni nitidi. E limpidi. E reali. Una montatura addosso. Come un vestito. Come un paio di scarpe comode. Che portano lontano. Che ti rappresentano. Un occhiale che se togli ti senti spersa. Proprio perché non vedi più niente. Qualcuno a me li ha tolti gli occhiali. Improvvisamente non ho più avuto riferimenti. Improvvisamente tutto è stato diverso. E non è stato facile indossarli di nuovo. Perché quello che scorgevo era tutto sfocato. Era tutto diverso. Era tutto terribilmente meno colorato. Le lenti pronte a rimandarmi un’immagine che non riconoscevo più. Inutile sfilarseli di dosso. Non mi è restato che abituarmi. E prenderne un paio nuovo. Con i quali vedo ancora un po’ annebbiato. Ai quali chiedo di farmi ritrovare la mia vista. Quella su misura per me. Perché in fondo con questi occhiali devo vedere io. Devo vivere io. Non sono sostituibili. E forse è proprio questo il loro bello.

lunedì 10 giugno 2013

Qulle volte che


Quelle volte che sono più fragile. Che mi concedo di essere più fragile. Quelle volte che basta un niente per farmi piangere. Per farmi sentire debole, indifesa. Quelle volte che lascio andare la presa e mollo. Mi abbandono alla tristezza e piango. Come una bambina. Come un essere piccolo, che chiede solo di essere protetto. Di dimenticare. Di non vedere. Di non sentire. Anche solo per un istante. Quelle volte che il mondo non mi piace e vorrei farmi piccina e scomparire. Guardare e non fissare. Quelle volte che non trovo luce. Quelle volte che decido di sfogarmi. A modo mio. In quel modo che poi mi fa sentire un po’ meglio. Quelle volte che sento il peso del cammino in salita. E vorrei  la leggerezza di una discesa. Quelle volte che cado. Mi faccio male. E poi mi rialzo. Quelle volte che tutta la mia rabbia, la mia frustrazione, la mia tristezza la sfogo da sola. Perché è un attimo mio. Perché non mi piace fare la vittima. Perché voglio un abbraccio senza compassione. Perché non chiedo niente. Perché so che niente può servire. Quelle volte che piango e non ho paura perché le lacrime fanno parte del pacchetto. Il pacchetto che la vita ha confezionato per me e mi ha fatto trovare inaspettatamente dietro la porta.

martedì 4 giugno 2013

Qui è ovunque


Qui. Voglio restare. Qui voglio. Qui cado. Qui mi rialzo. Qui mi sporco. Qui mi ripulisco.

Qui desidero esistere. Qui dove buio e luce si alternano. Qui dove non posso dimenticare. Qui dove ho toccato il fondo. Qui dove ho trovato una scala. Qui dove i gradini scricchiolano ma sono solidi. Qui dove sto rinascendo.

Qui amo. Qui odio. Qui urlo. Qui piango. Qui rido. Qui sogno. Qui le mie dita scorrono. Qui scrivo. Qui cancello. Qui creo. Qui distruggo. Qui arranco. Qui corro veloce. Qui mi fermo. Qui respiro. Qui spazzo via.

Qui dove ho perso. Qui dove ho combattuto. Qui dove sto vincendo. Qui contro l’altrove. Qui la musica la sento solo io. Qui i passi li vedo solo io. Qui dove mi sento protetta. Qui dove le mura possono crollare. Qui dove tutto è solo mio.

Qui dove i pezzi vanno al loro posto. Qui dove accolgo. Qui dove mando via. Qui c’è la mia solitudine. Qui c’è la mia stanza. Qui c’è la mia scatola. Qui dove i suoni sono attutiti. Qui dove alzo il volume. Qui dove lo abbasso quando è troppo.

Qui. Esisto. E mi ricompongo. Qui diversa. Qui uguale. Qui nuova. Qui vecchia. Qui dove le sfumature contano. Qui dove la mia voce rimbomba. Qui dove sono i miscugli a dominare. Qui dove soppeso la mia forza. Qui dove soppeso la mia fragilità. Qui dove amo entrambe.

Qui mescolo le mie vite. Qui prima. Qui durante. Qui dopo. Qui dove sconfiggo. Qui dove c’è paura. Qui dove è vergogna. Qui dove mi perdono. Qui dove parlo. Qui dove mi ascolto.

Qui con me. Qui con te. Qui noi. Qui è un corpo. Qui sono io. Qui è dentro. Qui è fuori. Qui è tutto intorno. Qui è ovunque.

lunedì 27 maggio 2013

Quello che vedo nei tuoi occhi


Quello che vedo nei tuoi occhi è luce. E’ la voglia di andare avanti e non lasciarmi indietro. E’ il desiderio di essere accompagnato quando giri l’ennesima pagina. E’ la speranza che nonostante tutto un’altra felicità sia possibile. Diversa. Ma non per questo meno intensa.

Quello che vedo nei tuoi occhi è il freno che ti sei imposto per non mettermi fretta. E’ il desiderio di regalarmi serenità, anche quando quello che vorresti fare è urlare. E sfogarti. E imprecare. E poi risalire. E stare a galla. E poi tornare a riva.

Quello che vedo nei tuoi occhi è il mio stesso dolore. E’ il nostro passato. Ma anche il nostro futuro. E tu li spalanchi quei tuoi occhi per farmi capire che un oltre è possibile. Che un’altra strada è percorribile. Che un’altra gioia è dietro le porte.

Quello che vedo nei tuoi occhi è amore. E’ la nostra storia. E’ l’essere in tre. Anche quando le nostre mani si intrecciano e ci siamo solo noi. E’ un numero che va aggiunto. E’ la voglia di riprovarci. E’ l’avere timore ma tenerlo nascosto perché prima vengo io.

Quello che vedo nei tuoi occhi è la mia immagine. Perché tu sei me. E’ una domanda che ti sei fatto. Che non ha avuto risposta e che ora non ti vuoi più fare. E’ una lacrima che chiede di sgorgare. Di cadere. E di non rimbalzare.

Quello che vedo nei tuoi occhi è un azzurro profondo. E’ uno sguardo forte. Che mi sorregge. E mi corregge. E’ un invito a ricordare la tenerezza. E’ una parola che solo io posso sentire. E’ il ricordo di un abbraccio. Il più avvolgente che abbia mai ricevuto.

Quello che vedo nei tuoi occhi è grandezza. E’ l’essere uomo. Quando tutto cerca di schiacciarti. E’ un sorriso che cerca un riflesso. E’ uno specchio che rimanda un’immagine di bellezza. E’ un dito che mi chiede di non parlare. E’ una carezza che si posa con calore.

Quello che vedo nei tuoi occhi sono io. Sono quella che sono. E sono quella che tu ami. Sono quella che tu hai scelto. Sono un miscuglio di forza e fragilità che tu hai deciso di accudire. Sono luce che hai voluto proteggere. E sono ombra che hai voluto far risplendere.

Quello che vedo nei tuoi occhi non è mai una diversa me. Non è mai la voglia di cambiarmi. Non è una io che non conosco.

Quello che vedo nei tuoi occhi è la voglia di farmi ridere. E’ il desiderio di vedermi sorridere. E’ l’istinto di pensare sempre al plurale. E’ il silenzio che parla per noi.

Quello che vedo nei tuoi occhi è la nostra vita. Tutto quello che è stato. E quello che sarà. Sono tutte quelle parole che non hanno bisogno di essere pronunciate. Perché ci basta un gesto. Uno sguardo. Un soffio.

Quello che vedo nei tuoi occhi è la gioia. Quella che è stata. Quella che aveva cambiato il tuo viso. Quella che ci aveva reso sorprendentemente leggeri. Quella che speriamo possa tornare.

Quello che vedo nei tuoi occhi è tanto. E’ tutto. Siamo noi. Noi.

martedì 21 maggio 2013

Quello che conta


Puoi avere mani piccole o grandi. Quello che conta è solo la forza che metti nell'appenderti. Quello che conta è il modo in cui ti aggrappi per non cedere. E precipitare.

Puoi avere dita lunghe e sottili o corte e grassocce. Quello che conta è il peso che imprimi alle carezze. Quello che conta è come le dischiudi per accogliere un sorriso, una lacrima, un sorriso. Un qualunque gesto di affetto.

Puoi avere pugni chiusi o pugni aperti. Quello che conta è saperli gestire. Sapere come muovere le mani, anche quando non ti viene chiesto.

Puoi avere un tocco leggero e delicato o più pesante e rumoroso. Quello che conta è che il tuo tocco serva a qualcuno. Per farlo sentire vivo. Per risvegliarlo. Per solleticare le sue emozioni.

Puoi contare sulla punta delle dita. O farlo con la mente. Quello che conta è che ci sia sempre un motivo per contare. Per scandire il tempo.

 

lunedì 13 maggio 2013

Pezzi di lego. Pezzi di vita


E’ come avere davanti una montagna di pezzi di lego. Quelli con cui si giocava da bambini. Allora divertivano, ora sembrano un cumulo di frammenti da riordinare. Da mettere al loro posto. Sapendo che l’equilibrio è molto fragile. Capendo che il primo pezzo sarà quello più importante. Quello che sorreggerà tutti gli altri.

E così ne ho sollevato uno, l’ho guardato, studiato e l’ho messo al suo posto. Quello che mi sembrava il più giusto. Per me. Poi ne ho preso un altro. Ce ne sono migliaia e ogni giorno ne aggiungo un pezzo nuovo. Alcuni sono ammaccati ma con un po’ di pazienza si possono ancora incastrare. Altri invece sono completamente deformati  e non combaciano più con nessun altro pezzo. Sono da gettare. O da accantonare.

E’  un cammino che si percorre quotidianamente. Passo dopo passo. Facendo i conti con alcuni pezzi di vita caduti e andati in frantumi. Ma che vengono raccolti e ripuliti. Quello che nascerà da questo lavoro di incastro spero sarà una  vita migliore. Migliore per me. Perché sotto tutti quei pezzi c’è la mia mano. Ci sono i miei propositi. C’è quella che sono. Quella che ero. E quella che sarò.

lunedì 6 maggio 2013

La nostra scatola


Ho riempito una scatola. Dentro ci sono tutte le tue cose. Quello che è stato. E quello che non sarà mai. Una data. Anzi due.

L’ho scelta. Poi l’ho aperta. E da vuota è diventata piena. L’ho trasformata mettendoci tutto quello che è tuo. Nostro.
Il test di gravidanza, gli esami, le ecografie, il quaderno dove annotavo i miei cambiamenti. I braccialetti che indossavo quando sei nato dentro di me. Un bavaglino. E poi i ricordi, le sensazioni, le parole, le lacrime. L’immaginazione. La fantasia. I progetti, i sorrisi, le paure. La purezza. La gioia. I tuoi calci. I sogni. Anche quelli mozzati. Il dolore. Quelle mani che ancora ti cercano. Le ho messe via. 

E ora l’ho chiusa. Quanto è pesante. L’ho riposta  nel mio comodino. E’ lì. Non c’è più spazio per nient’altro. Non avrò bisogno di aprirla per trovarti. Ma sapere di aver messo ordine tra le tue cose mi dà un po’ di sollievo.

lunedì 29 aprile 2013

Credo che un rattoppo tornerà a scucirsi


Io credo che un rattoppo prima o poi tornerà a scucirsi. Credo che un vuoto non possa colmarsi con strati di coperte calde. Credo che un altro nome, un’altra aria, un'altra vita non servirebbero a niente. Credo che un perché dovrebbe avere sempre una risposta. Credo che ago e filo siano sprecati. Credo che una lacrima non scenda mai invano. Credo che una delusione difficilmente la si superi. Credo che un dolore ti trasformi, ti cambi. Ti sfiguri.

Io credo che ci sia un’altra me. Credo che tutti abbiano un riflesso nello specchio sconosciuto. Credo che chiudere il cuore non serva. Credo che un sorriso sia meglio di tante parole. Credo che tante parole siano solo fiato. Credo che tanto rumore sia sprecato. Credo che sia meglio un po’ di silenzio.

Io credo che un pensiero possa sconvolgere un’intera esistenza. Credo che uno sguardo possa scoprirti lasciandoti nuda. Credo che tanti ripari siano solo un’illusione. Credo che costruire significhi anche distruggere. Credo che ad un passo ne debba sempre seguire un altro più lungo. Credo che un guanto possa nascondere una potenziale carezza.

Io credo che le mani seguano un percorso tutto loro. Credo che un abbraccio possa tanto. Credo che un programma vada scompigliato. Credo che non tutti gli ostacoli vadano superati. Credo che vestirsi di ricordi ti metta al sicuro. Credo che indossare una sola maschera non basti. Credo che un pugno faccia meno male di un’assenza. Credo che una pagina nasca bianca e vada scritta. Credo che un destino esista. Credo che un’unione possa essere per sempre.

Io credo che una sensazione possa non tornare mai più. Credo che la bellezza di un atto sia come un tatuaggio. Credo che un vestito non faccia una persona. Ma un gesto sì. Credo che la prima impressione svicoli dalla realtà. Credo che una smagliatura si possa accettare. Due è più complicato. Credo che chiudere gli occhi non sia sempre così sbagliato. Credo che poi sia importante riaprirli avendo capito. Credo che capire sia un buon passo.

Io credo che un attimo possa cambiarti. Credo che non tutti possano comprendere. Credo che molti non facciano nemmeno lo sforzo. Credo in un’altra visione. Credo che esista un mondo capovolto. Credo che il rovescio possa essere meglio. O lo spero. Credo che niente sarà come prima. Credo che vorrei tornare ad assaporare l’aria di qualche mese fa. Farne tesoro. E poi tornare più forte.

 

lunedì 22 aprile 2013

Senza contare i passi


Togliere il piede dall’acceleratore e andare piano. Più piano. Percorrere una via senza contare i passi. Senza voltarsi indietro per calcolare quanto si è già camminato. E senza buttare lo sguardo troppo avanti per capire quanto manca. Lasciarsi trasportare. E assaporare, assaggiare, odorare, gustare.

Esistere. Stare. Abbandonare il controllo. Lasciare che tutto sia. Che tutto vada come deve andare. Senza inviti. Senza voce.

Stare e non vedere. Non sentire quella paura che cerca di trascinarti giù. Quella tristezza contro la quale stai combattendo. Contro la quale solo tu puoi.

E viaggiare con calma. Senza aver voglia di voltare una pagina troppo pesante. Lasciare che si giri da sola quella pagina. Lasciare che le prossime righe si scrivano da sole.

Perché la paura non è buona consigliera. La paura ti chiude gli occhi e ti impedisce di guardare le cose belle. Annebbia la vista e la percezione.

Fermarsi allo stop e pensare a questo viaggio. Non al prossimo. Partire dal via e posare le orme là dove è giusto che vengano posate. Lasciare che il giorno venga dopo la notte. E che la notte venga dopo un giorno nel quale si è vissuto.

lunedì 15 aprile 2013

Quando porti a spasso le tue paure


Quando ti chiedi perché e non ci sono risposte. Quando vorresti altro e altro non arriva.

Quando la musica riempie la stanza e tu vorresti alzare il volume e cantare, ballare, saltare.

Quando vorresti tornare a qualche anno fa e prendere un’altra strada. Quando ti immagini un percorso diverso. Quando te lo crei ed è tutto più bello. Più facile. Più assolato.

Quando chiudi gli occhi e torni bambina. E senti profumi, voci, battiti ormai persi. E ti sembra di toccare mani che non ci sono più. E ti pare di sfogliare pagine che credevi cancellate. E trovi parole che non odi da tanto. E ne cancelli altre che non vuoi sentire.

Quando la vita ti sembra troppo pesante. Quando le orme sono troppo calcate. Quando nella tua testa combattono si e no. No e si. Forse, ma, quando.

Quando vorresti bastasse chiudere gli occhi per trovare poi una realtà diversa. Quando ti chiedi se da un pugno potrà mai nascere una carezza. Quando sai la risposta e ti illudi ancora.

Quando vorresti il silenzio e trovi solo rumore. Quando dischiudi le dita e accarezzi l’aria. Quando ami e quando ti senti amata. Quando fantastichi e apri la porta alla magia di un sorriso.

Quando senti vicine persone lontane. Quando quello di cui hai bisogno è un abbraccio. Quando apri un libro e trovi le risposte. Quando ti dici che sei stanca ma poi pensi al tuo obiettivo.

Quando pensi a quanto è stato meraviglioso. E quando speri che possa esserlo di nuovo. Quando credi che le sfumature siano importanti. Quando ti rendi conto di quanto sei cambiata. E un po’ ti piaci. E un po’ no.

Quando pensi alla forbice che ha tagliato la tua esistenza. Quando la vedi accartocciata, lisata, rovinata. Quando cerchi di stirarla, pulirla, ricucirla.

Quando ti fai forza da sola. Quando ti inciti, ti sproni. Quando prendi in braccio le tue paure e le porti a spasso sperando di abituarti al loro peso.

 

venerdì 12 aprile 2013

Tempo


Tempo. Questa folle corsa che non ti lascia respiro.

Tempo. Che passa, scorre, tocca e ti ferisce. Senza lasciare tracce evidenti.

Tempo. Che scava, si scontra e continua la sua corsa. Che ti toglie lo spazio. Che ti leva il terreno sotto i piedi.

Tempo. Questa parola che include ieri, oggi e domani. Che non si ferma. Davanti a niente.

Tempo. Che vorresti bruciare, calpestare, fare a pezzi. Che tenti di arrestare. Sempre invano.

Tempo. Che lancia sogni e subito se li riprende. Con mano lesta. Con dita sconosciute.

Tempo. Questo mazzo di gesti che ti toglie le parole. Che lascia le labbra asciutte. La bocca vuota.

Tempo. Contro cui lotti. Contro cui gridi. Contro cui inveisci. Contro cui ti scontri tutti i giorni.

Tempo. Che non concede tregue. Che ti fa sentire sbagliata. Che ti dà. Che ti toglie.

Tempo. Che ti stringe. Che ti cinge. Che ti fa partecipe involontario della sua camminata.

Tempo. Che cancella. E subito riporta a galla. Che incolla e poi stacca. Che priva e poi chiede il conto.

Tempo. Che fuori è sereno. E dentro tuona.

 

lunedì 8 aprile 2013

Diversa da me stessa


Quante cose si buttano via per niente. Quante cose si mettono via senza accorgersi della loro importanza. Quante cose si dimenticano in un cassetto e si lasciano lì a prendere polvere. Quante cose si fermano dentro pensando che sia normale. Credendo che in fondo tutto sta andando come deve andare.

Quante cose si scansano per paura. Quante cose si evitano per stare tranquilli. Quante parole si ingoiano per il timore di uscire allo scoperto. Quante mani non si stringono, quanti sguardi si schivano. Quante strade non si percorrono perché non si conosce la meta. Quanti affetti si buttano.

Ma ora esco. E vado a cercare tutte quelle cose che nel tempo ho messo da parte. Quelle emozioni che credevo sepolte. Quelle sensazioni che ho ignorato, inconsapevolmente. O forse no.  E chissà se le ritroverò, ora che sono un’altra. Ora che la vita mi ha reso una persona diversa da me stessa.

Scendo in strada. Accolgo il sole e torno a far parte del paesaggio. Forse non troverò subito il mio posto. Forse mi sentirò spersa e mi verrà voglia di tornare indietro. Di voltarmi e cercare un appiglio. Di correre al riparo. Ma tenterò.

 

martedì 2 aprile 2013

Fantasia è


Fantasia è chiudere gli occhi e staccarsi. È andare lontano pur restando fermi. È un abbraccio mancato, una voce mai ascoltata, un posto mai visitato, una carezza mai data, un volto mai sfiorato. È il viaggio più bello, é il fiore che ancora deve essere colto, é quella parola non ancora pronunciata.

Fantasia é linfa vitale. È chiudere gli occhi e vivere le ore più belle. È togliere gli occhiali e vederci benissimo. È chiudere la mano a pugno e poter sentire, toccare, stringere. È un arcobaleno che taglia il cielo. È un volo con i piedi attaccati a terra. È pulire il cuore da tutte quelle cose che lo appesantiscono. È un sorriso limpido. Sincero. Senza fini.

Fantasia é un'ancora. È un porto sicuro. È un' isola soleggiata, una nave in mezzo al mare. È ribellione. È una sfida che si vince. È una strada in discesa. È l'amore puro. È avere senza chiedere. È un orecchio tappato quando non si vuole sentire. È il vestito che cade perfetto. La scarpa ticchettante. La pelle profumata. Le parti che combaciano.

Fantasia é una musica che non finisce. È una mano che non molla la presa. Anche quando scivola. Anche quando si è troppo pesanti. È non sentirsi soli. Mai. È un riparo. È non aver bisogno di parole.

Fantasia é sapore. È contatto. È profumo. È ieri. È oggi. È domani.

mercoledì 27 marzo 2013

Il mio "perchè" così forte


Chi ha un perché abbastanza forte, può superare qualsiasi come (Nietzsche)

 Lo sto facendo. Sono in viaggio e non intendo fermarmi. Qualcuno mi dirà per l' ennesima volta che sono forte. Che sono in gamba. Per me queste voci sono solo un brusio. Talvolta fastidioso.

Non so cosa sono. Ma so quello che voglio. Con tutti i perché, i ma e i se del caso. Con tutte quelle lacrime che non si vedono. Ma che ci sono. Con tutta quella pressione che questo giro di giostra mi sta causando.

Non posso scendere proprio ora. Non posso rinunciare a tutto. Vorrei mettere pausa, guardarmi intorno e capire. Ma poi so che vorrei subito risalire. E non perdere tempo.

Sono il caos.

Ma quel "perché" me lo devo. Me lo merito. E così torno a scavalcare e a calpestare tutti i "come".

venerdì 22 marzo 2013

C'è tanto. C'è tutto


C'è un fiore sulla strada che sto percorrendo. C'è il colore di una stagione che sta sbocciando. C'è una musica allettante che mi chiede di ballare. C'è un nuovo volto. E ce n'è uno che posso solo immaginare. Ci sono sorrisi buoni e quelli falsi. C'è la voglia di non stare più male. C'è una mano che non mi molla. E ci sono dita che non voglio più intrecciare. Ci sono carezze troppo pesanti. C'è un auto che mi sorpassa e c'è un aereo che mi sovrasta.
 Ci sono carenze da colmare. E altre da dimenticare. Ci sono parole che non mi feriscono più. Altre invece sono come un coltello. C'è una nuova me che ha scalzato quella vecchia. Ci sono sorrisi inaspettati e altri che ti aspetteresti ma che non arrivano. Ci sono momenti bui che accolgo senza spavento. Altri più sereni che ancora mi terrorizzano.
C'è il bisogno di tenerezza. C'è tanto silenzio che si sentono i pensieri. Ci sono momenti di leggerezza. Troppa. Ci sono tanti forse. Tanti se. E tanti ma. E c'è la consapevolezza che non ci sono risposte.
C'è un nuovo cuore che batte per due. C'è l' indifferenza. C'è il vuoto. E c'è un pensiero che lo riempie. C'è la voglia di essere compresi. E il timore di essere allo scoperto. C'è una persona che mi aspetta. E altre che aspetto io. C'è un abbraccio nel quale ripararmi. E ci sono braccia pronte a sorreggermi.
Ci sono piedi che vogliono correre da soli. C'è uno sguardo puntato in avanti. Perché ci sono occhi che hanno visto troppo. C'è una bocca stropicciata. Ci sono troppi sorrisi morti. C'è un abito che mai vestirò. E ce ne sono altri pronti da indossare. C'è un amore grande. C'è la paura. C'è più forza. Ma anche più fragilità. C'è un conflitto. C'è una risata che spinge per sgorgare. C'è un rubinetto aperto. E un altro che gocciola. C'è una foto sbiadita. E ce n'è un' altra che non potrò mai scattare. C'è il desiderio di urlare che ci sei. C'è un regalo che viene da lontano. Ci sono doni da aprire. C'è uno sguardo profondo. E ce n'è un altro spento. Ci sono note di sottofondo. E altre che assordano. C'è tanto. C'è tutto. C'è il contrario. Ci sono due ali. Aspettano me.

 

martedì 19 marzo 2013

Avevo una sedia


Avevo una sedia. Ero comoda. Stavo bene seduta nel mio posto di mondo. Quello fatto per me. Quello costruito con fatica. Quello che pensavo essere per sempre. Quello che niente avrebbe potuto togliermi.

Avevo un angolo. E da lì osservavo la vita che mai mi è sembrata così bella. Ne facevo parte. Ognuno di noi ha bisogno di una sedia sulla quale ripararsi e stare semplicemente seduti. A guardare, a riposarsi, ad osservare, a cantare, a respirare, a commuoversi, a liberarsi, a capire, a progettare, a sentire che in fondo tutto va bene.

La mia sedia eri tu. Mi poggiavo ed ero felice. Quella sedia è ancora lì. Ma in un posto diverso. L’hanno spostata bruscamente, senza chiedermi niente. E io sono rovinata a terra. La osservo ed è vuota. Vorrei risedermici, forse un po’ di sghembo. Forse non appoggiandomi totalmente. I piedi ben puntati a terra. Le mani salde ai fianchi. La schiena discostata. Con la mente e il cuore meno rilassati.

Su quella sedia dove eravamo in due ora ci sei solo tu. Ti chiedo di farmi un po’ di posto. Per tornare, in modo diverso, ad essere una cosa sola. Per tornare a guardare il mondo insieme.

Avevo una sedia. C’è ancora. Ha solo cambiato posizione. E’ in un altro angolo. Da lì la vita appare diversa. L’orizzonte è meno nitido. Ma c’è. Piano piano mi risiedo. Con quella che ormai considero la parte più bella e pura di me.

giovedì 14 marzo 2013

Una nuova me


Un giro in auto. Un paesaggio nuovo da scoprire. Un attimo da intrappolare per non farlo più scivolare via.

Una nuova me. Una me che sta percorrendo un viaggio mai immaginato. Una me che sta ricostruendo giorno dopo giorno la sua strada. Quella giusta per lei. Quella fatta su misura per lei.Quella che nessuno può indicarle.

Non posso fermarmi a chiedere aiuto. Perché quella forza per appoggiare un passo dopo l’altro sull’asfalto la posso trovare solo in me. Ci sono alcune mani che mi tirano in avanti. Ma sono io che mi devo sganciare. Sono io che devo tenere lo sguardo puntato in avanti.Sono io che non sono più la stessa.

Ed è sempre la nuova me, che non avrei mai voluto conoscere, che mi guarda tutte le mattine dallo specchio. Che mi chiede di non piangere più. Che mi sussurra di non voltarmi. Che spesso non riconosco ma che sto imparando ad amare. E’ la nuova me che chiede di poter tornare a respirare senza sentirsi in colpa.

Una nuova me che cerca un appiglio per tornare a viaggiare, ingranando la prima. Poi la seconda, la terza, la quarta e la quinta. Senza guardare lo specchietto retrovisore. E’ tempo di tornare ad ascoltare il rumore del motore.

La nuova me ha una nuova parte. Meravigliosa. La più bella. La più dolce. La più sorprendente. Sei tu, Edoardo. Sei tu,piccolo mio. Ora guardiamo avanti. Insieme possiamo farcela.

martedì 12 marzo 2013

Una canzone può


Una canzone può. Arriva dove le parole spesso non riescono. E di musiche che segnano la vita ce ne sono tante. Ti legano per sempre ad un luogo, ad una persona, ad una situazione. Ad un attimo che rivivrà ogni volta che quelle note accarezzeranno l’aria. Noi Due ne abbiamo più di una. E ne ho tante altre, con persone che nemmeno si immaginano. E con tanti posti. Qui e altrove. Vicino e lontano.

E poi ci sono quelle canzoni che “capitano” al momento giusto. Quando senti qualcosa dentro che non sai esprimere. Le parole si fanno tue e te le ripeti dentro, ti proietti nel testo. Danzi con la melodia e accogli quelle rime che come per magia schiudono il mondo che si agita in te.

Alcune canzoni le canto a squarciagola. Mi sentono anche dal piano di sotto. O quando passo in macchina con i finestrini abbassati. Altre invece le sussurro. Ne faccio una cosa intima. Come se intrappolarle dentro potesse guarire alcune delle mie ferite. Alle volte mi fanno male. Altre invece mi consentono di liberarmi.

Alcune canzoni mi fanno alzare e ballare. Muovermi e saltare, senza un disegno. Invitano i miei piedi ad agitarsi. A seguire la musica e districare i miei pensieri. Poi con il fiatone mi sento più leggera. Come se avessi urlato. Altre mi bloccano. Guai ad interrompere il flusso dei miei pensieri. Che chissà dove stanno andando. Resto ferma. E quando finisce sento solo il rumore del silenzio. E ritorno dov’ero.

lunedì 11 marzo 2013

Legge 40: la storia di Armando e Mariacristina


Cara Elena e con te caretutte le persone che hanno scritto su questa pagina, sono Armando e sono ilpapà di un bimbo che dal 18 Ottobre del 2012 è diventato un piccolo angelo (ionon sono credente ma spero ardentemente che sia così).
Abbiamo dovuto prendere la peggiore delle decisioni che un essere umano sipossa trovare ad affrontare. Il nostro bimbo era affetto da Distrofia Muscolaredi Becker e per questo motivo mia moglie ha dovuto affrontare un’interruzionedi gravidanza volontaria alla 14a settimana. Non ci sono parole per descriverequello che si prova e ancora oggi lo strazio è grande, specialmente quandopenso che tutto questo si poteva evitare se lo stato ci avesse consentitol'accesso alle cure mediche di cui abbiamo bisogno.
Brevemente, mia moglie è portatrice sana della malattia e noi tramiteProcreazione Medicalmente Assistita e successivamente Diagnosi Pre-Impiantopotremmo avere bimbi sani.

Tutto questo inItalia non è possibile per via della famosa e contestata legge 40 del 2004 o2005 (perdonatemi se non lo ricordo con precisione) che impedisce alle coppiefertili l'accesso alla PMA. Ci siamo informati e l'unica speranza era andareall'estero però noi non ce lo possiamo permettere e quindi dopo 5 anni ditentennamenti e angosce abbiamo provato ad avere un figlio affidandoci allafortuna.

Le cose sonoandate come avete letto e oggi siamo in cura da uno psicologo che cerca diaiutarci ad elaborare il lutto e la morte che portiamo dentro di noi.
Nel contempo non siamo rimasti con le mani in mano e stiamo avviando tuttol'iter burocratico per andare in tribunale a contestare la legge.

Il nostropsicologo dice di pensare alla nostra scelta di interrompere la gravidanza comeal più grande atto d'amore. Noi sappiamo che è così ma la realtà è dura equando meno ce lo aspettiamo ci troviamo a piangere e a disperarci l'anima perun dolore che MAI ci lascerà. Con la speranza che la vicinanza di altre personeaiuti noi tutti a trovare la forza di convivere con questo enorme dolore viabbraccio con tutto il cuore.

 

Avrei il piacere disegnalare un libro uscito da poco che è in presentazione nei prossimi giorni aMilano e successivamente a Roma. Il libro si intitola: "IL LEGISLATORECIECO" I PARADOSSI DELLA LEGGE 40 SULLA FECONDAZIONE ASSISTITA di FilomenaGallo e Chiara Lalli Editori Internazionali Riuniti.

Un abbraccio a tutti Armandoe Mariacristina